Responsabilità civile “ordinaria” e responsabilità medica: tre grandi differenze
Cerco, in questo articolo, di rispondere a molte delle domande che i clienti mi rivolgono ciclicamente:
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Perchè le cause di malasanità sono più “difficili” di quelle sugli incidenti stradali?
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Perchè le cause di malasanità costano di più?
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Cosa vuol dire che “l’onere probatorio”, nelle cause di malasanità, è a favore del paziente?
Responsabilità civile “ordinaria” o responsabilità medica?
Quella che – per semplificare – io definisco responsabilità civile “ordinaria” è in realtà la classica responsabilità che i giuristi chiamano extracontrattuale o “aquiliana”, derivante cioè dalla Lex Aquilia, antico plebiscito risalente al 286 a.c., ovvero la prima legge scritta in materia del risarcimento del danno di proprietà del dominus in epoca romana antica.
Questo tipo di disciplina, che regola in linea generale il diritto al risarcimento del danno extracontrattuale, è stata trasfusa nel nostro attuale ordinamento, negli articoli 2043 e seguenti del codice civile.
Possiamo dire che la “responsabilità medica” è una specie del genere “responsabilità civile”.
La responsabilità medica, tuttavia, sino agli interventi legislativi degli ultimi anni (Legge Balduzzi, ma soprattutto Legge Gelli) non fu storicamente oggetto di attenzione legislativa, bensì la sua definizione, attuazione e regolamentazione, fu principalmente demandata alla Giurisprudenza, cioè alle decisioni di merito dei Tribunali e a quelle in diritto della Corte di Cassazione.
Vediamo, ora, in cosa differisce la responsabilità medica da quella Aquiliana.
Prova della responsabilità/colpa
Ecco la sintesi:
Naturalmente questo è un elemento a favore del paziente, il quale non dovrà fornire una prova precisa e circostanziata, ma potrà limitarsi a:
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Provare che il fatto sia avvenuto (ad esempio: un intervento chirurgico).
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Provare che il fatto abbia provocato il danno (questa fase è molto più complessa di come può apparire, ma lo vediamo nel prossimo paragrafo).
Preciso che l’art. 1218 (che è cardine in tema di responsabilità medica ed attiene ad una responsabilità di tipo contrattuale), in estrema sintesi e semplificando al massimo, secondo il disposto della legge Gelli, si applica:
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Alla struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell’adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa.
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Alle prestazioni sanitarie svolte in regime di libera professione intramuraria ovvero nell’ambito di attività di sperimentazione e di ricerca clinica ovvero in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale nonché attraverso la telemedicina.
Come è evidente, restano solo poche situazioni in cui questa disciplina, di favore al paziente, non risulta applicabile.
Non sopravvalutare il “favore della prova”
Nella pratica giornaliera presso nostri Tribunali – ve lo dice uno che si occupa di questa materia da oltre quindici anni – questo declamato “favore della prova” al danneggiato non conferisce affatto maggiore semplicità e speditezza ai processi.
Il motivo?
Siamo tutti umani e imperfetti: parti processuali, medici, avvocati e magistrati.
Non basta che il paziente si presenti e dica “sono entrato in ospedale con un problema, e ne sono uscito peggio”.
Semplicemente: non è sufficiente.
In fase processuale infatti si pretende che chi agisce in causa per ottenere qualcosa fornisca dei chiari elementi che giustifichino le proprie pretese.
Di contro va anche tenuto in conto che gli enti ospedalieri si difenderanno – comprensibilmente – adducendo la sussistenza di complicanze, di elementi fattuali esterni, di casi fortuiti, di problematiche organizzative…
Il buon difensore non deve sottovalutare questo genere di difese, trincerandosi dietro il principio del “favore della prova”, ma deve, al contrario, contestare precisamente le eccezioni avversarie. Altrimenti, perderà la causa.
Prova del nesso di causa o nesso eziologico
Ecco la sintesi:
Anche questo aspetto sembrerebbe favorevole al danneggiato. Ma vediamo nel dettaglio alcune insidie.
Innanzitutto, domandiamoci: perché la legge impone un minore grado di certezza alla prova in campo di colpa medica?
Perché una tale prova è, per sua natura, difficilissima da raggiungere.
Immaginiamo un caso di omessa diagnosi.
Occorrerà provare:
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Che la diagnosi poteva essere eseguita prima (con quali strumenti? Quanto tempo prima? Cosa dicono le linee guida?).
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Che la diagnosi tardiva ha causato un diverso (e peggiorativo) decorso della malattia (ha abbreviato la vita del paziente? Gli ha causato danni che altrimenti non avrebbe avuto? L’operazione chirurgica ha procurato postumi permanenti diversi e maggiori, rispetto alla media, a seguito di una operazione siffatta?).
È qui che viene in auge il ruolo importantissimo del collegio medico di parte, costituito da medico legale e almeno uno specialista, che deve dare una risposta alle suddette domande.
Studiando a fondo la vicenda clinica, adducendo studi scientifici, medie matematiche, e quant’altro necessario a supportare la richiesta di risarcimento del danno. Ecco perché le perizie mediche, e la relativa assistenza, hanno un costo più elevato in questa materia (lo spiego meglio in questo articolo, che ti consiglio di leggere) ma possono fare la differenza tra vincere e perdere una causa.
Lo stesso ruolo dell’avvocato è marcatamente più impegnativo, rispetto ad una causa relativa ad un sinistro stradale.
È infatti molto più semplice argomentare sulla responsabilità di un tamponamento (abbastanza ovvia, e comunque ci aiuta il codice della strada, con norme piuttosto precise) rispetto a scandagliare gli elementi di base di una colpa medica (come abbiamo visto, non vi sono regole tecniche determinabili, ma ci si affida a pochi criteri legislativi, e soprattutto alle pronunce delle Corti e dei Tribunali).
Contenuto del concetto di neminem laedere (= non nuocere a nessuno)
Al medico, che di norma agisce nel campo della responsabilità contrattuale, sono ovviamente richiesti maggiori oneri.
Facciamo un esempio.
Se Tu stai andando in auto al lavoro, il tuo onere è solamente quello di guidare prudentemente e non danneggiare chicchessia. Operi in un regime di responsabilità extracontrattuale, ciò significa che non hai un legame contrattuale con gli altri utenti della strada, devi solo limitarti a non violare la loro sfera giuridica, a non danneggiarli.
Il medico invece, svolge le sue prestazioni in applicazione di un vero e proprio contratto sociale qualificato , quindi ha doveri ed oneri maggiori.
Se entri in un ospedale, non è sufficiente che chi di dovere non ti danneggi: occorre che egli operi attivamente per soccorrerti ed aiutarti.
Responsabilità medica: materia difficile, se non c’è esperienza
Quando ci si addentra in una causa per malpractice media è molto facile (per un avvocato alle prime armi o che non ha affrontato molti casi in questo settore) sottovalutare gran parte degli aspetti tecnici e strategici che si annidano in ogni aspetto di gestione del contenzioso. Purtroppo la mia esperienza (e quanto ho raccontato fin qui) mi porta a concludere che questo sia uno degli errori più comuni da parte dei professionisti del mio settore – e qualcosa da cui un cittadino dovrebbe ben guardarsi. In poche parole: se Tu hai avuto la sfortuna di imbatterti in un caso di malpractice medica, non presumere che “solo perché” hai ragione tutto il procedimento scorrerà liscio verso una risoluzione equa e corretta. Allo stesso modo, non affidarti con leggerezza ad un avvocato solo perché “è un nome” o “me ne hanno parlato bene”. Piuttosto, informati e ricerca un avvocato che abbia nel suo curriculum un numero importante di incarichi nell’ambito della malpractice medica.