Malpractice medica: cos’è?
Una guida che chiarisce alcuni punti importanti: cosa è la malpractice medica e come funzione la legislazione italiana in materia. Un approfondimento indispensabile per chiunque si ritenga vittima di malasanità o di un errore medico.
Spesso si sente parlare di malpractise medica, ma non tutti hanno chiaro il significato di questo termine anglosassone che riconduce al concetto di malasanità in lingua italiana. Prima di addentrarci nello specifico però occorre chiarire che quando si parla di medicina, si parla di una scienza che non è sempre esatta come in molti sostengono e non può essere esatta in quanto non si tratta di mera teoria, ma studi basati su casi di studio. Tali casi di studio si basano a loro volta sulle singole persone e poiché ogni individuo ha una sua peculiarità e un suo comportamento davanti alle patologie e alle cure, non si può asserire che la medicina si basi su risultati assoluti. Detto questo, resta la realtà di evidenti casi di malasanità dovuti ad abusi, omissioni, leggerezze, carenze strutturali e mancanza di deontologia e professionalità. In tutti questi casi chiunque si ritenga vittima di un errore medico o di malasanità ha diritto al risarcimento danni.
Risarcimento danni e malpractice medica, iniziamo a fare luce
Iniziamo col chiarire il significato del termine medical malpractise. Come detto si tratta di un termine anglosassone che semplicemente traduce il nostro “malasanità”.
Ma cerchiamo di essere chiari:
Ci troviamo di fronte ad un caso di malpractice quando abbiamo un soggetto che fa ricorso a un servizio medico (cure) e un soggetto erogatore (medico, struttura ospedaliera) che per diversi motivi non rispetta le linee guida e cagiona un danno al richiedente la prestazione.
Facciamo un esempio.
Se un paziente ha un braccio fratturato, si reca al pronto soccorso e riceve una visita frettolosa per cui la diagnosi è errata (non viene effettuata una lastra, oppure deve attendere troppe ore per essere visitato e il suo caso si aggrava), si rientra in un caso di malasanità.
Le cause della malpractice in sanità sono quindi imputabili a:
- Carenze strutturali.
- Omessa o errata diagnosi.
- Errori pratici in operazioni o cure.
Nel primo caso si parla di una competenza inadeguata, quindi di una struttura carente, strumentazione carente o inefficiente, personale carente.
Nel secondo caso, invece, si parla di errore medico, quindi di una diagnosi sbagliata, non conforme al caso, frettolosa, priva di adeguate indagini, tardiva.
Nel terzo caso ci si riferisce a trattamenti che peggiorano la situazione del paziente, a volte in modo irreversibile, come per esempio quando si viene operati a un arto invece che a un altro.
Non cambia molto il discorso per quanto riguarda la malpractise infermieristica. In base al decreto 739/94 l’infermiere è un professionista intellettuale, autonomo, competente e responsabile – sia che svolga la sua attività nelle strutture sanitarie private o pubbliche, oppure a domicilio come libero professionista. Inoltre, in seguito alla legge 42/1999, l’infermiere ha assunto una maggiore autonomia dal punto di vista dell’operatività, e di conseguenza ha anche una maggiore responsabilità. Quindi il rischio di denuncia per malpractise infermieristica vale anche per questa figura professionale.
Ma quali sono le cause di questo tipo di malasanità imputabile agli infermieri?
Ebbene, in questo caso all’origine vi può essere:
- Un sovraccarico di lavoro.
- Errori o carenze nella documentazione clinica del paziente.
- Mancanza di significativa comunicazione tra l’equipe sanitaria.
- Preparazione insufficiente del professionista
La medicina difensiva e la Legge Gelli
Purtroppo i casi di malasanità oggigiorno non sono pochi. Ed hanno portato delle conseguenze a livello sia civile che penale sia per i medici che per le strutture ospedaliere.
Molti professionisti hanno infatti iniziato ad attenersi scrupolosamente (talvolta anche in modo eccessivo) alle linee guida e a praticare la cosiddetta medicina difensiva: ciò significa che si comportano, nello svolgere la loro opera professionale, in modo da difendersi – preventivamente – da possibile cause di malpractice.
Questo comportamento ha di fatto peggiorato le prestazioni sanitarie offerte, sempre più standardizzate, e non ha avvantaggiato in alcun modo i pazienti danneggiati.
La Legge Gelli, in tal senso, si è prefissata di porre rimedio a tale tendenza imperante, sgravando il medico (la persona fisica, non la struttura ospedaliera) di molte responsabilità.
Come?
Adducendo la responsabilità del medico ospedaliero – se non ha un contratto d’opera col paziente – all’ambito della responsabilità extracontrattuale. In questo modo il medico è obbligato a risarcire il paziente solo nel caso in cui vengano provati tutti gli elementi che costituiscono l’illecito aquiliano, in poche parole l’onere della prova ricade, in tale specifico caso, a carico del paziente. La responsabilità della struttura sanitaria, sia pubblica che privata, rimane invece di tipo contrattuale, ex art. 1218 c.c., quindi una modalità molto più favorevole al paziente – danneggiato.
La Legge Gelli introdusse anche ulteriori novità, al fine di poter definitivamente attuare un sistema di risarcimento, per i pazienti danneggiati, ancora più efficace.
La Legge quindi opera su tre fronti: penale, civile e amministrativo:
- In ambito amministrativo viene creata la figura del Garante del diritto alla salute (art. 2) che potrà essere richiesto gratuitamente dai destinatari delle prestazioni sanitarie per eventuali segnalazioni anche anonime di disfunzioni del sistema sanitario e sociosanitario, figura che potrà quindi agire a tutela del richiedente la prestazione. Viene poi istituito un Centro per la gestione del rischio sanitario e la sicurezza del paziente in ogni regione, senza alcun onere ulteriore, che ha come compito quello di raccogliere i dati regionali su rischi ed eventuali eventi avversi inerenti il contenzioso per poi trasmetterli all’Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza in sanità (organo istituito e disciplinato secondo art. 3). Vi sono poi obblighi di trasparenza per quanto riguarda le prestazioni sanitarie erogate dalle strutture pubbliche e private secondo i quali (art. 4) la direzione sanitaria è obbligata a fornire in tempi rapidi tutta la documentazione sanitaria inerente il paziente.
- Per quanto concerne le modifiche in ambito penale, l’art. 5 regola la responsabilità penale degli esercenti la professione sanitaria. Si stabilisce quindi che tali soggetti debbano attenersi alle buone pratiche clinico-assistenziali raccomandate dalle linee guida, regolate da Decreto ministeriale e inserite nel Sistema nazionale per le linee guida. Fino all’applicazione della Legge Balduzzi, a determinare la colpa penale era il solo art. 43 del codice penale. Conseguenza di ciò era che anche la colpa lieve poteva assumere una certa rilevanza criminale. In questo modo il contenzioso nei confronti dei medici era aumentato notevolmente così come le condanne penali. Dal 2012, con la Legge Balduzzi (l.n. 189/2012) si prevedevano due requisiti per determinare l’irrilevanza penale del fatto illecito colposo commesso dal medico: il rispetto delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, ed inoltre l’assenza di colpa grave. Ma non era tutto così chiaro come poteva sembrare. In seguito alla Legge Gelli è stato abrogato l’art. 3 ed è stato modificato l’art. 590-sexies c.p. “Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario”. Scompare quindi ogni riferimento al concetto di colpa grave, mentre resta il rispetto delle linee guida e buone pratiche.
- Nell’ambito civile, invece, mediante l’art. 7 viene stabilito che vi sia una partizione delle responsabilità tra ente ospedaliero e medico. La struttura ospedaliera ha dunque una responsabilità contrattuale (ex art. 1218 cod. civ.) mentre il medico risponde in via extracontrattuale se non ha in essere un’obbligazione contrattuale con il paziente.
Tra le altre novità (art. 8) anche l’obbligo di tentare una conciliazione tra l’ente, l’assicurazione, ed il soggetto danneggiato. Vi è inoltre l’obbligo di sottoscrivere una polizza (sempre per quanto riguarda le strutture sanitarie pubbliche o private) per la copertura della responsabilità verso terzi e verso gli esercenti le professioni sanitarie. Anche il professionista sanitario è obbligato a sottoscrivere una polizza assicurativa se svolge la professione al di fuori delle citate strutture.
Per quanto riguarda la prescrizione della malpractise medica, resta il termine generale di 10 anni (tranne in casi specifici in cui si riduce a 5) per presentare la richiesta di risarcimento danni .
Come avrai capito, il tema è estremamente complesso e anche per questo è sempre bene avere al proprio fianco un avvocato competente in materia che possa prima verificare se il tuo caso può davvero configurarsi come malpractice e poi possa consigliarti passo dopo passo.
Se credi di avere bisogno di sapere più perché hai avuto la sfortuna di essere vittima di malpractice medica (o qualcuno vicino a te lo è stato), allora contattaci per avere una approfondita pre-analisi multidisciplinare del tuo caso.