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Il batterio killer di Verona – come provare la responsabilità dell’ente in caso di infezione

Il terribile caso del batterio Citrobacter a Verona: analisi e risvolti legali di uno dei casi più macroscopici di malpractice avvenuti in Italia.

E’ noto alle cronache di questi giorni il caso di Verona, ove ben novantasei neonati sono stati contagiati. Nove piccoli hanno riportato gravissimi danni celebrali e quattro sono purtroppo già deceduti.

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Responsabile di tutto ciò è il citrobacter, che dalle prime risultanze istruttorie pare essersi annidato da anni nei rubinetti dell’acqua dell’ente ospedaliero, privi del filtro antibatterico.

Da subito si delinea una pesantissima responsabilità in capo all’ospedale veronese, che certamente subirà azioni penali e civili, di carattere risarcitorio, da parte dei genitori dei piccoli e sfortunati ospiti.

Ho scritto vari articoli su questo blog in merito agli interventi legislativi che hanno interessato la materia “malpractice medica” negli ultimi anni; faccio riferimento alla legge Balduzzi, ma ancor più specificamente alla legge Gelli del 2017.

Tuttavia in tema di risarcimento per infezione ospedaliera, pur vigendo le regole generali imposte dalla legge, sono le pronunce giurisprudenziali e le perizie medico-specialistiche a dettare gli approcci più corretti all’analisi. Vediamo in questo articolo quali sono i passaggi per impostare il contenzioso civile in maniera efficace.

Azione civile contro l’ospedale o contro i singoli medici?

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Il caso di Verona è denso di risvolti affettivi assai profondi, viene infatti naturale immedesimarsi nei genitori di quelle piccole ed innocenti vittime di un sistema indifferente.

Sembra impossibile che un ospedale situato nel produttivo nordest, per anni abbia sopportato l’assenza di elementari misure igieniche adeguate ad impedire la strage che di fatto si è verificata, tanto più se si osserva che – a quanto sinora è dato sapere – sarebbe stata sufficiente l’applicazione ai rubinetti di comunissimi filtri facilmente reperibili ovunque.

Sono attualmente quattro – ma probabilmente a brevissimo saranno ben più – le persone coinvolte nel triste caso del batterio killer: provvedimenti di sospensione disciplinare sono stati comminati alla direttrice sanitaria, alla direttrice medico-ospedaliera, al primario di pediatria, alla direttrice del reparto di microbiologia.

Tuttavia anche in questo caso, la cosa migliore che possano fare i danneggiati è quella di lasciare lavorare la Procura della Repubblica affinché rilevi le responsabilità penali e commini le giuste pene agli autori del grave eccidio.

Dal punto di vista del contenzioso civilistico-risarcitorio, invece, il consiglio è sempre quello di dirigere l’azione solo ed esclusivamente contro l’ospedale – e non contro le singole persone fisiche coinvolte. La legge ci consente di agire in tal modo, evitando così di incappare in continui “scarica-barile” tra il personale medico sanitario.

Le responsabilità dei singoli, dipendenti dell’ente, ricadono su quest’ultimo. L’innovazione della legge Gelli riguarda infatti la posizione dei sanitari-dipendenti: i maggiori oneri relativi ai contenziosi sono stati spostati sulle strutture e sulle loro assicurazioni. Inoltre, rivolgendosi direttamente all’ospedale, si agisce secondo l’istituto della responsabilità contrattuale, che è molto più favorevole al danneggiato rispetto al meccanismo della responsabilità extracontrattuale.

Elementi probatori a sostegno del danneggiato nei casi di infezione ospedaliera

Nell’ipotesi di infezione contratta in ambito nosocomiale, grava sul danneggiato l’onere di provare:

  1. l’esistenza del contratto di spedalità (cioè il fatto che il paziente sia stato ricoverato proprio in tale struttura),
  2. l’insorgenza o l’aggravamento della patologia, oltre al
  3. nesso causale tra l’infezione ed il conseguente danno.

Sono questi i criteri che dominano la responsabilità contrattuale.

Molto più arduo sarebbe invece l’onere in regime di extracontrattualità, ove il danneggiato dovrebbe provare altresì la sussistenza di una concreta responsabilità per colpa.

Ovviamente, nel caso di Verona sussistono ulteriori elementi probatori a favore dei danneggiati, tra cui:

  1. l’evidenza che dal 2017 sono stati effettuati oltre tremila tamponi, ed in 413 è stato trovato il Citrobacter Koseri.
  2. Il fatto che il fenomeno sia stato quindi ampiamente sottostimato e tardivamente riconosciuto, portando agli attuali decessi per evidente negligenza.
  3. l’evidenza che dal 2018 al 2020 i casi risultano correlati e collocati sempre nella terapia intensiva neonatale e pediatrica.

Come potrebbe “scagionarsi” l’ospedale?

In un solo modo: dimostrando di avere diligentemente operato,

  1. sia sotto il profilo dell’adozione, ai fini della salvaguardia delle condizioni igieniche dei locali e della profilassi della strumentazione chirurgica eventualmente adoperata, di tutte le cautele prescritte dalle vigenti normative, onde scongiurare l’insorgenza di patologie infettive a carattere batterico,
  2. sia sotto il profilo del trattamento terapeutico prescritto e somministrato al paziente dal personale medico, successivamente alla contrazione dell’infezione.

Trattasi di “Probatio diabolica”, cioè di una prova quasi impossibile da fornire.

E’ prassi dell’ospedale, in casi di questo genere, produrre in giudizio tutta la documentazione sanitaria ed amministrativa comprovante la corretta sanificazione degli ambienti e le adeguate procedure per evitare infezioni e batteri.

Nel caso che ci occupa, anche se siffatta documentazione fosse in astratto disponibile ed esistente, potrà comunque essere assai semplicemente invalidata da presunzioni legali e prove testimoniali, così come i racconti, le foto ed i video dei genitori dei bambini, che – come rilevano le cronache di questi giorni – hanno più volte catturato comportamenti irresponsabili quali:

  1. medici e personale sanitario, in un ambiente sterile, senza i guanti e la mascherina;
  2. soggetti esterni che entravano in reparto senza nessun camice, con le scarpe sporche, trasportando oggetti privi di contenitore sterile;
  3. uso promiscuo di cellulare in ambienti presuntamente sterili e protetti, ecc…

Cosa puoi fare, adesso

La materia è difficile ed ampiamente sfaccettata, perciò consiglio sempre di chiedere la consulenza di un avvocato esperto e competente.

Nel mio studio è pratica comune svolgere una pre-analisi approfondita del caso che ci viene sottoposto: chiunque si trovi nella necessità di dover richiedere un risarcimento per malpractice medica può mettersi in contatto con noi  per spiegarci nei dettagli la vicenda di cui è stato vittima. Sarà nostra cura analizzare la posizione con rigore scientifico, sia in relazione alle linee guida mediche, sia alle probabilità di far valere vittoriosamente i Tuoi diritti.

Risarcimento danni alla scuola: che conseguenze subirà mio figlio?

Cosa succede quando un bambino ha un piccolo incidente a scuola? Quando è nostro diritto avere un piccolo risarcimento in quanto genitori e cosa possiamo fare in questi casi (senza mettere in difficoltà l’istituto scolastico)?

Quando le mamme e i papà mandano i loro figli a scuola, solitamente, non pensano che possa accadere loro nulla di male. Perfino quando sono molto piccoli ci si fida della struttura e delle insegnanti, tuttavia, purtroppo, anche a scuola, che sia quella d’infanzia o primaria o secondaria, il bambino può incorrere in incidenti di varia entità. Proprio per questo motivo, a tutela dei ragazzi e delle loro famiglie, ma anche della scuola stessa, ogni anno si paga con l’iscrizione una quota assicurativa. Spesso però, quando accadono gli incidenti, soprattutto quelli di entità minore, il genitore che ha un buon rapporto con la scuola non se la sente di richiedere il risarcimento danni.

Risarcimento danni scuola: il caso

Ci sono tante occasioni in cui un bambino si può far male a scuola, soprattutto nella scuola dell’infanzia dove i bambini sono ancora molto piccoli e hanno più possibilità di muoversi.

Un caso è quello di una mamma che un giorno è stata chiamata d’urgenza dalla scuola perché il suo piccolo era caduto e aveva perso un dentino da latte e si era ferito sul labbro.

In realtà questa è la storia di diverse mamme, perché si tratta di un incidente abbastanza frequente. I bambini, si sa, sono imprevedibili, giocano, corrono, le classi delle scuole, soprattutto quelle pubbliche, sono sempre più numerose e le maestre non sempre riescono a gestire la situazione.

Così, piccoli incidenti possono essere anche frequenti, come quello accaduto in questo caso, ma davanti a questa situazione che tipo di risarcimento si può chiedere, e soprattutto, come lo si può ottenere  senza mettere in difficoltà la scuola con la quale magari si ha anche un ottimo rapporto?

Se un bambino cade e si ferisce, per quanto le maestre lo soccorrano e allertino i soccorsi, i genitori hanno tutto il diritto di richiedere il risarcimento dei danni, soprattutto se si dovessero ipotizzare eventuali fisioterapie o interventi per eliminare segni e cicatrici. Emblematico un esempio su tutti: il bimbo che cade e si taglia sotto il mento o sulla fronte, occorrono punti e, probabilmente, se la ferita dovesse comportare un danno estetico, sarà necessario porvi rimedio una volta che l’età lo consenta.

L’assicurazione degli istituti scolastici

Ogni istituto scolastico ha un’assicurazione, sovente determinata in base a una convenzione regionale, che copre sia per la responsabilità civile verso terzi che per diversi tipi di infortuni, in questo ambito, nella maggior parte dei casi, i genitori sono chiamati a pagare un contributo, generalmente abbastanza contenuto. Una peculiarità è che l’assicurazione ha una copertura e dei prezzi che variano da istituto a istituto, per questo motivo una cosa a cui si deve necessariamente prestare attenzione è la franchigia contemplata da tale assicurazione. Questo in diversi casi è un problema perché le scuole chiamate a rispondere di un danno  si appellano a tale franchigia, quindi è molto importante informarsi bene fin dal principio onde evitare spiacevoli imprevisti.

Quali danni possono essere risarciti

Chiaramente, e non c’è bisogno di rimarcarlo eccessivamente, tra i danni risarcibili per un incidente occorso tra le mura scolastiche ai bambini, vi è quello delle spese sostenute, ovvero delle spese temporanee, quindi visite mediche riabilitazione, interventi e così via. La scuola, inoltre, dovrebbe essere tenuta a risarcire anche il danno biologico, mentre per quanto riguarda tutti gli altri fattori che vanno a incidere su un certo disagio familiare, come per esempio il bisogno di uno dei due genitori di prendere diversi giorni di ferie o aspettativa, non sempre possono essere incluse nella richiesta di risarcimento danni alla scuola.

Come si deve procedere

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La richiesta del risarcimento dei danni subiti dal proprio figlio all’interno della scuola non è un bel momento per i genitori, soprattutto se con la scuola, i docenti e il personale scolastico si ha un buon rapporto.

Basti pensare al caso di una scuola d’infanzia composta da piccole classi dove, solitamente, si ha anche un certo rapporto di confidenza tra genitori e insegnanti, e dove magari in caso di incidente le maestre si prodigano per soccorrere tempestivamente il bambino, ecco, in questi casi l’imbarazzo è del tutto plausibile.

Proprio queste remore, però, inducono i genitori a rinunciare alla richiesta del risarcimento, e questo, purtroppo, non è mai un bene. Ci si pone, giustamente, il problema dell’aumento dell’assicurazione per le scuole, o che venga meno in seguito il rapporto di fiducia che si era creato nel tempo. Tuttavia, prima di prendere decisioni affrettate, bisogna fare due conti. Il primo passo è dunque senza dubbio cercare l’ausilio di un legale, – potrebbe essere questo a fare la richiesta del danno alla scuola intervenendo per conto dei genitori – e di un medico legale che possa fare una stima del danno subito.

A questo punto, una volta quantificata e accertata l’entità del danno, si fa una stima di quelli che possono essere i costi da affrontare per l’iter di guarigione, quindi si chiede il risarcimento del danno.

Chiaramente, il consiglio è quello di cercare un buon avvocato e di non entrare, laddove possibile, in conflitto con la scuola. Purtroppo non si deve negare che vi sono stati casi in cui il rapporto tra genitori, quindi alunno, e istituto scolastico si è incrinato e i genitori hanno dovuto cambiare istituto, tuttavia, se si gestisce bene la richiesta, ponendo come obiettivo la salute del bambino, le cose si risolvono al meglio.

Se avete ulteriori dubbi su questa o altre questioni legali che abbiano a che fare con il risarcimento per danni biologici subiti, non esitate a contattarci

 

Personalizzazione del danno biologico: cosa significa veramente, come e quando si può ottenere

Non è facile fare chiarezza quando si tratta di chiedere giustizia per danni subiti, quindi proviamo a mettere qualche punto fermo e dare delle informazioni realmente utili rispondendo ad alcune domande fondamentali: Cosa intendiamo per danno biologico? Come viene valutato il danno e cos’è la liquidazione congiunta? Quando viene effettuata la personalizzazione del danno e come si calcolano le sue percentuali?

Fino alle sentenze delle sezioni unite della Corte di Cassazione emesse nel 2008, esisteva una sorta di dualismo nella liquidazione del danno: da una parte il danno per lesioni fisiche (biologico), dall’altra una sfera di voci di danno collegate all’aspetto morale ed esistenziale (psicologico, in senso lato).

Dal 2008 la Corte Suprema ha indirizzato la Giurisprudenza nazionale, di fatto imponendo una visione unitaria del danno alla persona: il valore di ogni punto percentuale di invalidità permanente deve oggi dunque “contenere” sia il risarcimento del danno biologico che di quello morale/esistenziale/psicologico.

Ma questa valutazione unitaria del danno come può avvenire? Non si rischia di ricadere in valutazioni troppo standardizzate e poco coerenti con le situazioni personali e di fatto?

Le tabelle oggi in uso dal Tribunale di Milano, che sono quelle adottate sostanzialmente in tutta Italia, individuavano valori “standard” di liquidazione del danno biologico, comprendendovi anche gli aspetti morali, parametrati alla gravità della lesione alla integrità psico-fisica e alla età del danneggiato.

Nel capoluogo lombardo esiste l‘osservatorio sulla giustizia civile di Milano, che, all’esito di varie analisi di concerto con magistrati della Corte d’Appello e del Tribunale di Milano e numerosi avvocati, ha rilevato, alla fine del primo decennio del secolo corrente, l’esigenza di una liquidazione unitaria del danno non patrimoniale biologico e di ogni altro danno non patrimoniale connesso alla lesione della salute, producendo così le Tabelle oggi in uso.

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Tale prospettazione ha dato esito al concetto di liquidazione congiunta:

  1. Del danno non patrimoniale conseguente a lesione permanente dell’integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale, nei suoi risvolti anatomo-funzionali.
  2. Del danno non patrimoniale conseguente alle medesime lesioni in termini di dolore, e sofferenza soggettiva (danno morale/esistenziale/psicologico), in riferimento ad un dato tipo di lesione.

Se lo studio dei predetti fattori si fosse limitato a quanto appena spiegato, sarebbe mancata una componente fondamentale.

Faccio riferimento alla cosiddetta “personalizzazione” del danno, cioè quel processo che deve essere effettuato quando – come di fatto spesso accade – il caso concreto presenti peculiarità che vengano allegate e provate (anche in via presuntiva) dal danneggiato, con particolar riferimento a:

  1. Aspetti anatomo-funzionali e relazionali (ad esempio: lavoratore soggetto a maggior sforzo fisico; lesione al “dito del pianista” o del “gomito del violinista”).
  2. Aspetti di sofferenza soggettiva (ad esempio: dolore al trigemino oltre lo standard valutativo medio; specifica penosità delle modalità del fatto lesivo, ecc..).
  3. Ferma restando, ovviamente, la possibilità che il giudice moduli la liquidazione oltre i valori minimi e massimi, in relazione a fattispecie eccezionali rispetto alla casistica comune degli illeciti.
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Per individuare i valori monetari di tale liquidazione congiunta, l’osservatorio ha fatto riferimento all’analisi dei precedenti giurisprudenziali rinvenuti presso gli uffici giudiziari di Milano, redigendo una tabella di valori monetari “medi”, corrispondenti al caso di incidenza della lesione in termini standardizzabili, in quanto frequentemente ricorrenti, ma prevedendo anche una percentuale di aumento di tali valori “medi” da utilizzarsi per consentire un’adeguata “personalizzazione” complessiva della liquidazione nei casi testè accennati.

Quali sono le percentuali di personalizzazione per ciascun grado di danno?

Le nuove Tabelle varate dall’Osservatorio nel 2009 – ed aggiornate di anno in anno secondo valori ISTAT, sino alle più recenti del 2018 – prevedono, per ogni singola situazione risarcitoria standard, percentuali massime di aumento da utilizzarsi in via di c.d. personalizzazione.

Ecco come sono distribuite, in base al valore della invalidità permanete riscontrata, tali percentuali massime di aumento personalizzato:

  1. Per i danni fino ai 9 punti percentuali di invalidità, l’aumento massimo per personalizzazione è fissato al 50%, ciò significa che il giudice potrà applicare un aumento dell’importo “base” del risarcimento fino al 50%.
  2. Per i danni dal 10% fino al 34%, l’aumento massimo va a scalare dal 50% in giù, di un punto percentuale per ogni punto di invalidità successivo (cioè: 49% di personalizzazione per 10 punti di invalidità, 48% per 11 punti e così via fino a 25%)
  3. Per le invalidità pari e superiori ai 34 punti, l’importo massimo della personalizzazione è del 25%

Quando, di fatto, viene concretamente effettuata la personalizzazione del danno?

La Corte Suprema ha più volte argomentato indicando che se il danno specifico sofferto attiene ad una situazione particolare e personale della vittima, quindi straordinaria e non comune a tutti quelli che abbiano patito lo stesso tipo di lesione, allora in tali casi si giustifica un aumento del risarcimento per personalizzazione.

Tali circostanze eccezionali e specifiche devono essere opportunamente comprovate dal danneggiato, non è sufficiente che l’avvocato le descriva e le faccia presenti.

Occorreranno prove documentali e testimoniali.

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Questo punto è fondamentale, poichè è in questa tematica che insistono i maggiori errori commessi sia dalle parti danneggiate che dai loro avvocati.

Non basta dire che si ha avuto una lunga depressione, occorre PROVARLO IN GIUDIZIO. Mediante testimonianze, capitoli di prova specifici, documentazione di visite psichiatriche, ecc…

Per questa ragione a volte si osservano richieste esorbitanti, mai accolte poi nella sentenza di merito.

Mi è capitata tra le mani proprio in questi giorni una sentenza, inviatami da un collega avvocato che chiedeva la mia consulenza per un possibile appello, in cui una richiesta quantificata in euro duemilioniequattrocentomila, è stata liquidata con totali euro duecentotrentamila.

Oltre dieci volte meno della richiesta iniziale.

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Voglio darti un consiglio: non cercare un avvocato che agisca in tal modo, non ha alcun senso. Creerebbe in Te delle false aspettative, Ti imbarcheresti in una causa lunghissima priva di fondamento e culminante con una amara sentenza.

Sii realista, informati, chiedi consulenza a chi ha visto e maneggiato numerosi casi, non a chi promette la luna senza criterio.

Incidente mortale: perché così pochi risarcimenti milionari alla “Law and Order”?

Il titolo è provocatorio, lo so.

In questo articolo vediamo come vengono quantificati i risarcimenti dovuti agli eredi di chi è scomparso a seguito di incidente mortale (alcuni concetti valgono anche per i casi di responsabilità medica) e per quale ragione a volte si sente parlare di risarcimenti milionari. Ma non accade molto spesso.

Chi ha diritto al risarcimento per danno parentale in caso di incidente mortale?

Come abbiamo già avuto modo di scrivere in passato su questo blog, il diritto al risarcimento danni per morte di un parente o congiunto è di norma dovuto a:

  1. coniuge
  2. convivente more uxorio
  3. figli e genitori
  4. fratelli e sorelle
  5. nonni e nipoti (ma servono prove precise sulla qualità del rapporto parentale)
  6. zii (ma solo in rari casi specifici)
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Come si quantifica il danno parentale subìto dagli eredi di una persona deceduta a seguito di incidente mortale?

Va da sé che il risarcimento dovuto a ciascuno dei suddetti sia alquanto differente, nel suo ammontare finale, in base al rapporto affettivo esistente tra il de cuius (cioè colui che è defunto nell’incidente) ed il parente superstite. Ad esempio, i risarcimenti dovuti a coniuge e figli (per ciascuno di loro), secondo le tabelle di Milano, si attestano in media ad euro 163.990,00, con un tetto massimo di Euro 327.990,00 (cui si può pervenire solo adducendo precisi elementi probatori, anche forniti tramite presunzioni legali).

Il risarcimento dovuto, invece, ad esempio, ad un fratello, si attesta su importi assai più limitati, da 24.740,00 a 142.420,00 (quest’ultimo importo davvero difficilmente raggiungibile, solo – ad esempio – in caso di fratelli che abbiano convissuto tutta la vita).

Il risarcimento può diventare milionario, nel suo ammontare totale, cioè considerata la somma di tutti gli importi dovuti singolarmente a ciascun erede. Per esempio nel caso di una persona che abbia lasciato due figli, una moglie e due fratelli, la somma dei rispettivi danni parentali – sempre SE il Tuo avvocato abbia posto in essere un’ottima ed efficace trattativa – potrebbe tranquillamente superare il milione di euro.

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Ma oltre a tale danno diretto da lesione di rapporto parentale, esistono ulteriori voci di danno, tra cui:

  1. danno biologico terminale, risarcito quando tra le lesioni e la morte sia trascorso un considerevole lasso di tempo (= la sofferenza del defunto si trasmette “in eredità” al congiunto);
  2. danno biologico subito direttamente dal congiunto, qualora abbia subito un effettivo danno alla salute (es: esaurimento nervoso) a causa della sofferenza sopportata per la morte del parente;
  3. danno emergente: il danno economico in sé, ad esempio le spese funerarie, ed ogni altra spesa derivata;
  4. Lucro cessante: cioè il tipo di danno di cui parleremo tra poco profusamente. Avviene nel caso in cui il superstite perda alcuni benefici economici futuri a causa della morte del parente nell’incidente stradale.

Il lucro cessante è il genere di danno capace di cambiare completamente le carte in tavola

Il lucro cessante è la tipologia di danno riconosciuta agli eredi/parenti che abbiano perso una o più utilità economica, che invece sarebbe rimasta ad arricchire il proprio patrimonio, qualora la morte nell’incidente stradale non si fosse verificata.

Ad esempio, nel caso in cui un figlio perda il padre che lo manteneva.

Si tratta di calcolare l’ipotetico reddito del defunto per tutta la sua restante vita, sottrarne la cosiddetta quota sibi (cioè il denaro che il defunto avrebbe usato per sè), per poi estrapolare l’importo che sarebbe stato destinato al mantenimento dell’erede/figlio/coniuge/parente in questione.

Chiaramente il calcolo subisce due ampie variabili:

  1. l’età del de cuius
  2. il reddito presumibile del de cuius in base al tipo di lavoro/curriculum di quest’ultimo.

Ecco un altro motivo per cui, in casi specifici, il Tuo avvocato potrà riuscire a concordare un risarcimento milionario.

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Chiaramente, in caso di morte prematura di un manager quarantenne di alta qualifica, il risarcimento per figli e moglie dovrà considerare l’ipotetico reddito di tutti i mancati anni futuri, magari per un’ipotesi di sopravvivenza media di ulteriori quarant’anni (pensione compresa) e per un reddito annuale di alto profilo.

Diverso – ovviamente – il caso di morte di un settantacinquenne titolare di pensione sociale, che lasci una vedova e dei nipoti.

Le variabili sono numerose e spesso soggette a discrezionalità.

Discrezionalità che può essere esercitata nella ragionevole trattativa tra le parti (è questa la via maestra, che tento in tutte le maniere di percorre fino in fondo), oppure demandata al giudizio di un Tribunale (soluzione da provare ad evitare, considerate le note lunghissime tempistiche, oggi ancor più aggravate dalle norme processuali dovute all’emergenza Covid-19).

Come agire, subito

Sai già che ogni caso merita una valutazione specifica con l’ausilio di chi ha avuto molta esperienza sul campo.

Occorre verificare quali siano le voci di danno risarcibile per ogni singolo caso, quantificando le singole poste in base alle sentenze sino ad oggi emesse dalle Corti di Merito.

Non esitare a contattarci, noi possiamo aiutarti.

I tribunali italiani durante l’emergenza coronavirus

Quali sono le sorti della giustizia italiana in questo periodo di emergenza sanitaria? Vediamo assieme quali sono i procedimenti davvero sospesi in questi giorni (di grande confusione).

La situazione riguardo alla “sospensione” dell’attività delle aule di giustizia non è ancora chiara.

La situazione è diversa da tribunale a tribunale, da comune a comune: il decreto ministeriale non offre soluzioni di semplice ed immediata applicazione.

Si dispone il rinvio d’ufficio delle udienze penali e civili fissate tra il 9 Marzo ed il 3 Aprile.

Successivamente, ogni ufficio giudiziario potrà disporre, in autonomia, ulteriori misure meno drastiche, come la chiusura degli uffici al pubblico e la ripresa modulata delle attività giurisdizionali in senso stretto.

Le eccezioni.

Ecco le uniche eccezioni alla generale sospensione:

  • In materia civile – non si sospendono i procedimenti cautelari aventi ad oggetto la tutela di diritti fondamentali della persona.
  • In materia penale: non si sospendono i procedimenti relativi a reati che possono prescriversi, all’applicazione di una misura di prevenzione, e quelli in cui è imputato un minorenne.
  • Non si fermano nemmeno le cause di competenza del tribunale dei minori.

Inoltre, saranno celebrati a porte chiuse i processi normalmente pubblici.

In questi giorni abbiamo assistito a scene di panico ed isteria collettiva.

Molti cittadini, giustamente, sono preoccupati per le sorti dei loro contenziosi, dai quali dipendono famiglie, case, lavoro e molto altro.

Ma la giustizia, negli uffici e negli studi degli avvocati, non può fermarsi.

Tutte le situazioni riguardanti trattative extragiudiziali ed altre forme di risoluzione delle controversie possono continuare a seguire il loro corso.

Per chi ha necessità di una analisi del proprio caso, resta la possibilità, anche in periodi di estrema incertezza ed emotività come questo, di contattarci

Legge Gelli: vademecum definitivo – cosa è cambiato, cosa NON è cambiato

Questa è una guida circostanziata ed univoca su tutti gli aspetti più rilevanti della Legge Gelli che disciplina la responsabilità medica. In passato ho già scritto della Legge Gelli (andando a concentrarmi su alcune singole questioni), ma a tre anni dal suo varo è giusto chiarirne le conseguenze pratiche: di che genere sia la responsabilità per la struttura ospedaliera/clinica, a differenza di quella gravante sul singolo medico, come procedere con una causa civile, come si quantificano i danni subiti.

La legge 24/2017, c.d. “Gelli-Bianco” si è posta l’impervio obiettivo di disciplinare, in maniera organica, la materia della responsabilità medica e sanitaria.

Come abbiamo visto purtroppo alcune previsioni della legge non sono state attuate, poiché non sono stati emanati (pur essendo ampiamente scaduto il termine legale) i relativi decreti ministeriali.

Tuttavia molto di positivo è stato fatto, ed auspico che si prosegua per questa via, verso l’attuazione completa.

In questi ultimi tre anni, molte questioni giurisprudenziali sono state chiarite, e certamente la materia se ne è giovata, pur restando sempre ostica per sua indole e natura,

Vediamo quindi, nel dettaglio, quali le novità introdotte.

Netta divisione tra responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale

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La legge prevede una bipartizione della responsabilità civile: la situazione della struttura sanitaria è ben diversa da quella del singolo medico che vi opera.

In generale:

  • La struttura risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile, per responsabilità civile di natura contrattuale.
  • Il medico risponde, ai sensi degli articoli 2043 e seguenti del codice civile, per responsabilità civile di natura extracontrattuale.

Questa diversificazione comporta importanti conseguenze in termini di:

  • Prescrizione (il termine per la struttura è 10 anni, per il medico 5).
  • Onere della prova (verso la struttura: il danneggiato dovrà semplicemente provare il titolo da cui deriva l’obbligazione, rimanendo in capo alla struttura l’eventuale controprova di un ipotetico inadempimento non imputabile. Verso il medico: la prova è molto più onerosa, il danneggiato deve non solo allegare, ma provare il fatto illecito, il danno, l’elemento soggettivo ed il nesso di causa).
  • Risarcibilità del danno (verso il medico: il danno risarcibile è limitato al danno che poteva prevedersi al tempo in cui è sorta l’obbligazione, salvo che in caso di dolo).

La conseguenza pratica di tutto ciò è ovviamente il fatto che la legge Gelli-Bianco abbia del tutto scoraggiato l’azione civile contro il singolo operatore (medico o infermiere), privilegiando la richiesta di risarcimento verso la struttura, nei confronti della quale il paziente potrà verosimilmente giovarsi di una robusta presunzione di colpa, ed anche di un termine di prescrizione più lungo.

Rivalsa della struttura contro il medico

E’ anche previsto, nella stessa legge, che la struttura possa successivamente rivalersi sul medico responsabile, ma con una procedura piuttosto onerosa, che coinvolge il ricorso alla Corte dei Conti (ove, ovviamente, si tratti di ospedale pubblico o convenzionato).

Ecco i paletti che la legge prevede, per quanto riguarda la rivalsa di una struttura contro un medico:

  • Termine di quarantacinque giorni, concesso alla struttura ospedaliera, per dare avviso al medico dell’avvio del contenzioso col paziente.
  • Termine di un anno di decadenza, dall’avvenuto pagamento del risarcimento al paziente, per promuovere l’azione di rivalsa da parte dell’ospedale contro il medico.
  • Esclusione della rivalsa in caso di colpa lieve del medico.
  • Tetto massimo, per tale rivalsa, pari al triplo della retribuzione annua del medico.

Questo paragrafo riguarda solamente i rapporti interni, per la ripartizione delle responsabilità e delle quote risarcitorie, tra ospedale e medico. Quindi perché ne parlo e perché questo può interessare al paziente-danneggiato?

Perché ritengo che sia importante sottolineare che la legge ha inteso porre gran parte del carico, anche economico, sulle spalle delle strutture, con il dichiarato intento di lasciare minore peso psicologico sul medico e sul suo operato professionale. Non entro nel merito di tale scelta, che riguarda politica e società.

Condizione di procedibilità: per fare causa occorre prima ricorrere alla mediazione o all’accertamento tecnico preventivo

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È prevista, per la causa civile, una duplice condizione di procedibilità:

  • Il ricorso ai sensi dell’articolo 696-bis del codice di procedura civile dinanzi al giudice competente – cioè un ricorso per l’espletamento di una consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite.
  • Oppure il procedimento di mediazione civile .

Come noto, il mio studio predilige la strada dell’accertamento tecnico preventivo.

Infatti la maggior parte delle vertenze in materia di responsabilità sanitaria dipende dalla valutazione di condotte mediche, pertanto è doveroso che, prima di procedere con la causa, il Giudice nomini un collegio di medici (un medico-legale ed uno o più specialisti) per la consulenza tecnica preventiva dall’art. 696 bis del codice di procedura civile.

La responsabilità penale del medico

La legge Gelli, modificando l’art. 590 sexies del codice penale, ha escluso la punibilità dell’operatore sanitario quando la morte o le lesioni si siano verificate nonostante l’avvenuto rispetto delle linee guida o delle buone pratiche assistenziali.

Tuttavia – ritengo, per una imperfezione formale della stessa legge – si fa riferimento, curiosamente, solo ai casi di “imperizia”, tralasciando quelli di “negligenza” ed “imprudenza”, che invece erano contemplati nella precedente disciplina del decreto Balduzzi. Allo stato attuale, i medici resterebbero punibili penalmente, anche qualora abbiano applicato correttamente le linee guida, per sola negligenza ed imprudenza. Ovviamente queste imperfezioni della legge provocheranno importanti diatribe in sede processuale di merito.

Quantificazione e liquidazione dei danni: differenze per tipo di lesione

Si prescrive di liquidare il danno da responsabilità sanitaria secondo le stesse tabelle previste dal codice delle assicurazioni private per i sinistri stradali (ma ciò vale solo per le c.d. lesioni micropermanenti, al di sotto dei nove punti di invalidità permanente.)

Questo intervento intende ridimensionare notevolmente i risarcimenti per danni da malasanità di minor rilievo.

L’entità di questi danni viene sostanzialmente dimezzata, con le ovvie conseguenze che si rileveranno nella gestione dei contenziosi:

  • Sempre maggiori costi per portare in giudizio situazioni di danno lieve.
  • Difficoltà ad adire la giustizia, pur in presenza di interessi costituzionalmente garantiti, come la salute.

I danni macropermanenti restano invece soggetti agli ordinari criteri di liquidazione in uso presso i nostri Tribunali (con particolare riferimento alle tabelle dei Tribunali di Milano e di Roma).

 

Legge Gelli: altre innovazioni “minori”

VI sono ulteriori istituti introdotti dalla legge, che tuttavia non modificano il quadro generale. Alcuni possono avere rilevanza, altri meno.

Eccone un elenco:

  • Introduzione del “Garante per il diritto alla salute”: nelle poche regioni in cui è stato istituito ha svolto attività poco efficace, perché sostanzialmente privo di poteri e di risorse economiche.
  • Istituzione dell’ “osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità”.
  • Trasparenza dei dati: sancito l’obbligo di pubblicare sul sito internet di ogni struttura sanitaria i dati relativi ai risarcimenti pagati nell’ultimo quinquennio.
  • La famiglia del paziente deceduto può concordare con il direttore sanitario l’esecuzione del riscontro diagnostico sulla salma (tuttavia, tale strumento è diverso e meno efficace rispetto all’autopsia giudiziaria).
  • Obbligo per le strutture di rilasciare copia della documentazione sanitaria entro sette giorni dalla richiesta, con preferenza per la spedizione dei documenti in formato elettronico. Questa norma potrebbe avere una rilevanza piuttosto importante, è interesse dell’utente (paziente danneggiato) “ricordarne” l’esistenza alle strutture ospedaliere, soprattutto quando ritardano immotivatamente la consegna dei documenti…

Legge Gelli: norme NON attuate

Come abbiamo visto, mancano i decreti attuativi, quindi – in linea di massima e salvo rari casi – non si può far causa direttamente alle assicurazioni degli ospedali (ne abbiamo parlato qui).

Inoltre, non è ancora operativo il “Sistema Nazionale per le Linee Guida”, che – secondo la Gelli – avrebbe dovuto raccogliere e mantenere aggiornate le migliori raccomandazioni nelle varie discipline mediche. Al momento esistono solamente tre documenti ufficiali, riguardanti: emorragia post partum, controlli sanitari per migranti alla frontiera, prevenzione degli incidenti domestici in età infantile.

Non è neppure stato approvato il regolamento del “Fondo di garanzia per i danni derivanti da responsabilità sanitaria”, che dovrebbe permettere il risarcimento ai danneggiati anche in casi di incapienza (e similari) della struttura sanitaria debitrice.

Legge Gelli: cosa NON è cambiato

Un principio fondamentale, costituzionalmente garantito, esisteva già, ed è rimasto tale: la salute è un diritto fondamentale, perciò lo Stato deve fare in modo che i servizi sanitari siano sicuri e non arrechino pregiudizio ai pazienti. Se si verifica un caso di responsabilità, colposo o doloso che sia, la struttura deve risponderne e risarcire.

Come abbiamo già detto, inoltre, la responsabilità della struttura è di natura contrattuale. Questo principio esisteva già prima della legge Gelli, poiché era stato stabilito dalle corti italiane di legittimità e di merito.

L’innovazione della legge riguarda per lo più la posizione dei medici, per i quali, come abbiamo visto, è legislativamente statuito, invece, il “sistema” extracontrattuale: si intende spostare i maggiori oneri scaturenti dai contenziosi sulle strutture e sulle loro assicurazioni.

La materia è complessa e, proprio per questo, consiglio sempre di farsi seguire fin dai primi passi (cioè quando si sta considerando se valga la pena o meno fare causa per risarcimento) da un avvocato esperto e competente. Nel mio studio è inoltre pratica comune svolgere una pre-analisi approfondita e multidisciplinare del caso che ci viene sottoposto: chiunque si trovi nella necessità di poter richiedere un risarcimento per malpractice medica, ma non sa come fare, può mettersi in contatto con noi  spiegandoci quale sia la sua situazione – il mio studio farà sapere al più presto l’esito dell’analisi, dopo aver vagliato la procedibilità del caso.

Omicidio colposo, doloso, preterintenzionale e stradale: quali le differenze?

Molto spesso si sente parlare di omicidio colposo, doloso, preterintenzionale e – recentemente – anche di omicidio stradale. Ma cosa dice la legge e quali sono le differenze tra questi istituti giuridici? Una breve guida per scoprirlo e per comprendere quando e come possiamo agire per ottenere un risarcimento danni se siamo rimasti vittime di uno di questi reati.

Quali sono i principali tipi di omicidio previsti dal codice penale

Il nostro codice penale prevede tre principali tipologie di omicidio: doloso, preterintenzionale e colposo.

  • Il primo, l’omicidio doloso, è quell’omicidio che viene commesso con il chiaro intento di uccidere, quindi di cagionare la morte di una persona. Un esempio può essere un soggetto che ha problemi con la vittima, magari un vicino di casa, e si reca a casa sua armato per ucciderlo, o di un soggetto che pianifica la morte della vittima. Non sempre è facile dimostrare il dolo, per farlo si deve arrivare a far emergere le intenzioni nette dell’omicida di cagionare la morte. .
  • L’omicidio preterintenzionale, invece, è un omicidio che va oltre l’intenzione. In genere viene causato in seguito a delle percosse o lesioni che inducono la vittima alla morte. Questo è un reato meno grave rispetto all’omicidio doloso, ma è comunque punito con delle pene severe.
  • L’omicidio colposo è un omicidio che viene commesso senza alcuna intenzione di uccidere la vittima. Il colpevole non ha quindi intenzione di uccidere, ma commette degli atti che cagionano, pur involontariamente, la morte

L’omicidio colposo e le regole cautelari

Per capire meglio come funziona l’omicidio colposo dobbiamo chiarire un concetto fondamentale che è quello delle regole cautelari.

Queste regole, così definite in ambito giuridico, altro non sono che delle norme comportamentali che possono essere tanto scritte nel dettaglio quanto essere generiche e che regolamentano – appunto – le situazioni in cui è necessario esercitare cautela.

Vediamo alcuni esempi in cui non rispettando le regole cautelari si rischia un processo per omicidio colposo:

  • Il genitore che metta a sedere il bambino in auto senza seggiolino.
  • Il medico che esegue un intervento chirurgico senza rispettare le linee guida o le norme (anche non scritte) di massima diligenza.
  • Un sorpasso dove non è consentito, non rispettare un limite di velocità.
  • Non predisporre quelle che sono le misure di sicurezza in un ambiente di lavoro.

Quindi, come abbiamo visto dagli esempi, nonostante non vi sia nessuna intenzione di uccidere, un comportamento scorretto comporta una colpa.

Una colpa che sussiste nel caso in cui chi commette il reato agisca con volontà ma senza una realistica coscienza di cosa tale comportamento possa cagionare. Il soggetto agisce dunque con negligenza, imperizia, imprudenza, oppure omettendo di applicare le doverose regole comportamentali prescritte in una determinata situazione.

Differenza tra omicidio colposo e doloso

Abbiamo visto quindi cosa si intende per omicidio colposo e omicidio doloso, ma quali sono le principali differenze tra questo tipo di omicidi? In realtà basterebbe solo riflettere sulla definizione per capire in cosa si differenzino l’uno dall’altro. L’omicidio doloso, come abbiamo visto, implica un intento, quindi l’omicida agisce con coscienza e volontà di uccidere.

Nel caso dell’omicidio colposo, invece, se il colpevole si fosse attenuto alle normative scritte o dettate dal buonsenso, la morte della vittima non sarebbe avvenuta. Per poter accertare questo tipo omicidio e comminare la pena relativa, si deve quindi procedere  con un giudizio di probabilità logica. Per comprendere questo pensiero proviamo a pensare al caso di un genitore che non allaccia le cinture del seggiolino in auto al bambino, o che lo tiene in braccio invece che assicurarlo sul seggiolino. La domanda che ci si deve porre è: sarebbe morto il bambino se fosse stato seduto nel suo seggiolino, se fosse stato ben allacciato e assicurato secondo le normative? Bisogna poi pensare se, valutando tutta la dinamica dell’incidente, la morte del bimbo sia stata davvero causata da quella negligenza, quindi se la causa del decesso sia imputabile a un comportamento doloso. A questo punto si formula un giudizio ipotetico, dunque su quello che sarebbe potuto accadere se chi ha commesso la negligenza avesse invece agito con cautela e con tutte le precauzioni del caso. Nell’esempio del bambino, se fosse stato ben allacciato nel suo seggiolino sarebbe accaduto ugualmente il tragico evento? O forse si sarebbe salvato nello scontro? Ovviamente, se la risposta è no, si può parlare di colpa, dunque di omicidio colposo.

L’omicidio stradale

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Questo particolare tipo di omicidio va distinto dagli altri, pur trattandosi di un omicidio colposo- ed è stato introdotto dalla Legge n. 41 del 23 marzo 2016 e descritto nell’art. 589 bis del Codice Penale.

Secondo quanto descritto quindi:

il conducente del veicolo a motore che cagiona, per condotta imprudente, la morte di una o più persone viene punito con la reclusione che varia in base alla gravità della colpa.

Le pene sono:

  • Reclusione va da 2 a 7 anni se  si violano le norme della circolazione stradale cagionando la morte di un soggetto.
  • Reclusione va dagli 8 ai 12 anni se il conducente è in stato di ebrezza alcolica oltre i limiti consentiti (0,8-1,5 gr per litro) o se ha utilizzato sostanze stupefacenti o psicotrope e cagiona la morte di un soggetto.
  • Reclusione da 5 a 10 anni se il conducente, per mancanza di prudenza uccide qualcuno e supera  i limiti di velocità imposti, passa col semaforo rosso, effettuano un sorpasso azzardato (per esempio dove c’è la linea bianca continua), va contromano, o fa inversione di marcia in un luogo non consentito.

La pena, però, in certi casi aumenta quando il conducente viene trovato sprovvisto di assicurazione o senza patente di guida, per non averla conseguita o per revoca. In caso di omicidio plurimo la pena aumenta fino al triplo, ma con un massimo di 18 anni di reclusione. Se invece il conducente si da alla fuga invece che prestare o chiamare soccorso, la pena aumenta di un minimo di un terzo fino ad un massimo di due terzi; in ogni caso non può essere inferiore a un minimo di 5 anni.

Omicidio colposo, quando cade in prescrizione

La prescrizione di un reato si ravvisa quando questo si estingue dopo che sia trascorso un certo lasso di tempo. Per “prescrizione del reato” si intende sostanzialmente la rinuncia da parte dello Stato a perseguire e punire un reato ed il relativo presunto colpevole; ciò è prescritto dalla legge per varie ragioni logico-giuridiche che non approfondisco in questo articolo.

In generale, la prescrizione di un reato avviene dopo 5 anni dal momento in cui viene commesso l’illecito, ma dipende altresì da quale sia la pena astrattamente comminabile per tale specifica tipologia di reato.

Quando si ha diritto a un risarcimento

Chiaramente quando accade un fatto così grave come l’omicidio colposo o un omicidio stradale, bisogna cercare di andare oltre al dolore dei familiari, c’è infatti da prendere in considerazione la possibilità di chiedere un risarcimento. Infatti, il colpevole è chiamato a risarcire i familiari della vittima. Questo è possibile sia che si tratti di omicidio colposo inerente un caso di malasanità, sia per incidente stradale o incidente sul lavoro o nel caso di un omicidio stradale.
I danni che possono essere risarciti si ascrivono quindi alla sfera del danno patrimoniale e del danno non patrimoniale (per un approfondimento, leggi qui).

Chi può fare richiesta di tali risarcimenti? Il risarcimento danni in ambito civile può essere richiesto da chi ha un vincolo familiare o affettivo con la vittima, secondo le logiche e le regole spiegate nell’articolo appena linkato.
Ovviamente in tutte queste circostanze occorre rifarsi all’ausilio del miglior avvocato che possa guidare nel modo più delicato possibile i parenti della vittima nella richiesta del risarcimento dei danni, cercando di agevolarli almeno per quanto riguarda tale procedimento. In un momento di dolore, queste, possono risultare ulteriori incombenze, ma che vanno comunque espletate. Purtroppo non sempre le dinamiche degli incidenti o dei casi di malasanità, sono chiare e limpide e consentono di essere ricostruite inequivocabilmente. Bisogna quindi che le persone coinvolte nel fatto si tutelino nella maniera più concreta possibile.

Se ti trovi in una di queste sfortunate situazione o pensi che una persona a te vicina possa aver diritto ad un risarcimento, non esitare a contattarci.

Come dare inizio ad una causa per Malasanità

Fortunatamente oggi denunciare un caso di malasanità non è così difficile come fino a pochi anni fa. Ma per farlo servono molte avvertenze e sapere con esattezza quali sono i passi falsi da evitare per non danneggiare irreparabilmente una possibile causa di risarcimento.

Perché molti rinunciano a chiedere il risarcimento

Da tempo la figura del medico gode di una certa aura di inarrivabilità e intangibilità. Il medico, ma anche la struttura ospedaliera tutta, è visto come un qualcosa che non si può scalfire.

“Chi sono io, comune cittadino, magari anche poco abbiente, in confronto a un medico, magari anche blasonato, che può avere a disposizione un team di avvocati?”

Questa, in poche parole, la motivazione principale per cui in tanti rinunciano a fare richiesta di risarcimento danni, anche quando hanno, con tutta probabilità, le ragioni per farlo.

Quando si può effettuare una denuncia di malasanità?

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A differenza di alcuni anni fa, oggi la maggior parte degli studi legali offre una consulenza preliminare multidisciplinare per valutare il caso di malasanità.

Questo significa che chi ritiene di essere vittima di un un errore medico o di un caso di malasanità, può esporre i suoi dubbi a un avvocato che, assieme a un medico legale, valuterà se vi sono gli estremi per avviare una richiesta di risarcimento danni. In genere il legale si fa pagare una percentuale sul risarcimento ottenuto.

Con questa formula chiunque si può permettere una consulenza legale e di avviare una causa per risarcimento danni, ed ecco perché oggi le richieste sono in aumento, come purtroppo anche i danni verificati.

Ma quali sono i casi che possono essere ascritti a fatti di malasanità? In estrema sintesi i casi possono essere ricondotti a:

  • Carenze strutturali.
  • Errata diagnosi.
  • Omessa diagnosi.
  • Negligenze in operazioni chirurgiche e cure.

Facciamo qualche esempio.

Le carenze strutturali di un ospedale: poniamo il caso di un paziente che sia costretto ad attendere ore in una barella al pronto soccorso e al quale non viene assegnato il codice corretto, per cui nel frattempo la sua situazione si aggrava fino a esiti anche letali. Riconoscendo l’urgenza e visitando il paziente le complicanze si sarebbero potute evitare. Oppure: le infezioni che si possono contrarre nei reparti, se durante un intervento viene a mancare la corrente elettrica e non funzionano i generatori. Insomma, i casi di malasanità dovuti a carenze strutturali sono diversi.

Diagnosi errata: errore gravissimo, alle volte fatale, dove un medico diagnostica una patologia quando il paziente è affetto da un’altra. Questo comporta la prescrizione di una terapia che non risolverà il problema del paziente e che, anzi, potrebbe causargli ulteriori complicanze.

Omessa diagnosi: una diagnosi che invece non viene fatta, come per esempio accade se un medico effettua un’ecografia o una visita a una gestante e non si accorge di eventuali difetti o problemi del feto. Alcuni esempi dalla cronaca: donne a cui non era stata diagnosticata una grave patologia del feto, impedendo così loro di scegliere l’aborto terapeutico, e di fatto costringendole a partorire un bambino con gravissimi problemi.

Insomma, le casistiche sono le più diverse e un buon avvocato con un suo team e con dei medici legali potrà stabilire la percentuale di successo di una richiesta di risarcimento danni. Il lavoro dell’avvocato sta quindi (anche) nel verificare se l’errore medico ha cagionato danni e se i danni cagionati sono permanenti – oltre a determinare quando vi sia una buona probabilità di dimostrare il nesso eziologico.

Dimostrare il nesso causa effetto

Quello che si deve fare è dimostrare il nesso causa effetto, che rappresenta la connessione logica tra errore medico e danno del paziente.

Un caso emblematico è la richiesta di risarcimento danni per vaccinazioni, da richiedere solitamente allo Stato: le difficoltà sono tantissime, anche perché, ancora oggi, gli eventi avversi non vengono registrati correttamente dall’Aifa anche per un certo ostracismo della classe medica.

Come dimostrare di aver subito un danno per fare una richiesta di risarcimento (evitando passi falsi)?

Se hai anche solo un sospetto di aver subito un danno da errore medico o malasanità la prima mossa da fare è senz’altro quella di rivolgerti a un avvocato che ti darà tutti i suggerimenti giusti per iniziare a recuperare il materiale che serve per inoltrare la richiesta.

Ecco una lista di documenti ed informazioni da consegnare all’avvocato e avvertenze fondamentali per dare inizio ad una causa:

  • La cartella clinica: da richiedere all’ospedale dopo le dimissioni.
  • Segnalare eventuali problemi riscontrati durante la degenza alla struttura: disagi, dolori, fastidi insorti dopo un trattamento sanitario devono essere segnalati e messi possibilmente per iscritto.
  • Fatture e gli scontrini: conservali per ogni visita ed esame in seguito a quello che potrebbe essere un errore medico o una carenza della struttura.

Una volta che grazie a queste informazioni il medico legale (interpellato dal tuo legale) ha appurato il nesso causa effetto, spetta ai legali adoperarsi affinché il paziente ottenga il risarcimento.

Chi citare e come farlo in tempo

Chi bisogna quindi citare in causa?

Dipende: ovviamente sarà l’avvocato a fornire i dettagli, solitamente si può procedere con la citazione del medico, che oggi può disporre di un’assicurazione personale, o si cita la struttura.

Per quanto riguarda il tempo a disposizione, prima che si verifichi la prescrizione del diritto abbiamo 10 anni nel caso si citi una struttura (ma attenzione, perché in alcuni casi potrebbero essere 5).

Chi paga il risarcimento?

Dall’entrata in vigore della Legge Balduzzi, ma soprattutto dopo la Legge Gelli del 2017, le cose in questo ambito sono decisamente cambiate.

Secondo quest’ultima legge, nei casi di responsabilità medica è obbligatorio porre in atto un tentativo preliminare di conciliazione.

Cosa s’intende? Che le parti coinvolte sono obbligate ad effettuare un tentativo di mediazione, pertanto la parte debitrice viene stimolata a proporre una offerta, che il danneggiato può scegliere di accettare o di rifiutare .

Si tratta quindi di una procedura di risarcimento che dovrebbe divenire, col tempo, molto simile a quella che è stata introdotta anni addietro in tema RC auto.

Ma tornando alla domanda iniziale, chi paga? Per farla breve e non addentrarsi troppo in tecnicismi, a risarcire il danno possono essere tanto il singolo medico, in caso di suo errore, quanto la struttura ospedaliera.

Infatti, se da una parte esiste un contratto di spedalità con la struttura ospedaliera presso la quale il professionista eroga le sue prestazioni, esiste altresì un contratto sociale tra medico e paziente. In questo caso i medici chiamati in causa possono solo dimostrare che il danno cagionato al paziente non sia imputabile a loro negligenza e dimostrare di aver seguito scrupolosamente le linee guida. Diversamente toccherà a loro risarcire il danno.

Quante possibilità ci sono di ottenere il risarcimento

E’ molto difficile quantificare una possibile percentuale di successo. Dipende da molti fattori: il tipo di danno subito, la capacità di produrre prove del danno, il contenuto delle sentenze già pronunciate in casi simili a quello in oggetto.

Infine, cosa non da poco, dipende anche dalle capacità dei legali e del medico legale, che dovranno dimostrare le connessioni tra danno e causa: un buon legale in genere studia le pratiche a disposizione e si rende subito conto di quale possa essere la possibilità di vittoria, e di questo abbiamo ancor più certezza per il fatto che le cause di questo tipo vengono pagate con una percentuale sull’eventuale vittoria. È dunque anche interesse dello studio legale ottenere il miglior risultato possibile.

Proprio per questo ti consiglio di avvicinare un avvocato esperto nella materia e di chiedergli per prima cosa una pre-analisi approfondita del Tuo caso, che sia in grado di dirti in breve tempo se sia o meno procedibile la tua possibile causa (e diffida invece da chi accetta “a scatola chiusa” qualunque causa).

Il mio studio offre precisamente questa formula e se ne vuoi usufruirne, ti basterà contattarci: avrai in breve tempo una risposta dal nostro team legale.

 

Malasanità: SI all’Accertamento Tecnico Preventivo (ATP), NO alla Mediazione.

Vediamo in questo post qual è la differenza tra Accertamento Tecnico Preventivo e Mediazione. Aspetto fondamentale, in difetto del quale c’è il concreto rischio di perdere la causa.

Fare subito causa per responsabilità medica?

Molti lettori di questo blog sapranno l’importanza della Legge Gelli in questa materia (per un approfondimento sulla Gelli, si legga qui). Ecco un concetto chiave – già esistente – ma recentemente rivisitato e rafforzato:

Se non vogliono risarcire il tuo danno da responsabilità medica, non puoi fare subito una causa “a freddo”, ma prima devi tentare una di queste due vie conciliative, contro l’ospedale e l’assicurazione: la mediazione oppure l’accertamento tecnico preventivo (ATP).”

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Il fatto che non si possa far subito causa è molto positivo, perchè così si “velocizzano” le procedure, evitando ab origine il radicarsi di cause civili, solitamente risolvibili più semplicemente con una giusta conciliazione, “pungolando” le parti che di solito fanno ostruzionismo, convincendole in tutti i modi possibili e plausibili ad interloquire con chi è stato danneggiato, invece di attendere per anni sentenze che tardano a venire, in un apparato giuridico antico e stanco come quello italiano.

Che differenza c’è tra MEDIAZIONE ed ACCERTAMENTO TECNICO PREVENTIVO e perchè noi facciamo SEMPRE e SOLO quest’ultimo?

La mediazione è un procedimento conciliativo utilizzato per molte controversie, e per alcune di esse obbligatorio:

  • È un procedimento che prevede la presenza di un mediatore autorizzato, e la possibilità della parte chiamata-convenuta, di rifiutare la propria partecipazione.
  • È un procedimento che diviene oneroso nel momento in cui la parte chiamata decide di aderirvi, altrimenti non vi sono spese.
  • È a forma libera. Ciò significa che le parti si siedono ad un tavolo insieme al mediatore ed iniziano a dialogare, formulando – possibilmente – ipotesi di risoluzione della controversia.

Tutto quanto appena citato è certamente positivo ed encomiabile (soprattutto se fossimo in Svezia o in Germania!).

Purtroppo nel nostro paese accade troppo spesso che la parte convenuta (nel nostro caso Ospedale e Assicurazione) preferisca non presentarsi alla mediazione, realizzando così, nel suo orticello, un triplice vantaggio:

  • Nessuna spesa di procedura da sostenere per la mediazione.
  • Possibilità di “allungare il brodo” quanto più possibile, e, nel frattempo, evitare di pagare.
  • Al limite, esporsi ad una lievissima sanzione (2/300 euro), che, seppur prevista dalla legge, spesso non viene applicata, se non alla fine di annosi contenziosi.

Ecco cosa succede invece in sede di Accertamento Tecnico Preventivo.

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Venendo invece a descrivere l’accertamento tecnico preventivo (detto, in giuridichese, “ATP”), vediamo finalmente molti spiragli di luce, ed un assetto molto più favorevole ad una autentica, consona e congrua, positiva risoluzione pre-giudiziale della controversia.

Ecco le caratteristiche ed i conseguenti benefici dell’accertamento tecnico preventivo di cui all’art. 696-bis:

  • Viene svolta una consulenza medico legale su di Te, che sei stato danneggiato, alla presenza dei consulenti di ciascuna parte, e soprattutto di un consulente medico super partes nominato dal Tribunale.
  • Il consulente medico DEVE tentare la conciliazione delle parti.
  • La partecipazione all’ ATP è obbligatoria per tutte le parti, comprese le imprese di assicurazione, che hanno l’obbligo di formulare l’offerta di risarcimento del danno o di comunicare espressamente i motivi per cui ritengono di non formularla.
  • In caso di mancata partecipazione, il giudice condanna le parti, che non hanno partecipato, al pagamento delle spese di consulenza e di lite (e a volte commina anche una ulteriore penale).

Ora mi pare più chiaro il motivo per cui il nostro studio utilizza sempre l’ATP e mai la mediazione.

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Dalla ATP le controparti non possono “scappare” senza conseguenze; inoltre si entra subito nel “vivo” dello scontro, diritti al cuore del problema, eseguendo una perizia medica sulla Tua persona.

Se il tuo avvocato ti sta proponendo di avanzare una richiesta di mediazione, magari tornate a dare una occhiata a questo articolo, e chiedigli qualche precisazione in più sulla scelta proposta: di certo non guasta.

Se invece stai decidendo se valga o meno la pena procedere ed intentare una causa per malpractice medica, non esitare a contattare il nostro studio per maggiori informazioni. Non devi fare altro che contattarci: lo studio ti risponderà con celerità e Ti forniremo una pre-analisi multidisciplinare approfondita, che vaglierà la procedibilità del tuo caso.